Una Stanza vuota – Recensione a cura di Annamaria Vezio

ago 28, 2012   //   by Francesca   //   Articoli e Recensioni, recensioni  //  No Comments

Presentazione di Firenze
25 luglio 2012  -  ore 17,30

Presentare Francesca Montomoli è un compito arduo, non perché ella sia di indole o di curriculum complicati, ma proprio per l’opposto, ed è difficile esprimere in parole che non siano false, la semplicità, la purezza.

Ho conosciuto l’autrice attraverso i suoi scritti, nello scrivere ci si mette a nudo e quindi la mia conoscenza di Francesca Montomoli è molto più profonda di quanto possa esserlo un continuo frequentarsi.

 Una stanza vuota   (di Francesca Montomoli)

Vola un’aquila fotografando le miniature di mondo sotto di sé, dal movimento delle sue ali espande un’eco di fruscio di parole pensate. Le sento, persa nella copertina di Una stanza vuota, apro il libro e scivolo in quella eco. L’aquila mi sussurra antiche sagge leggende, l’autrice gliele suggerisce, e come in un intimo palcoscenico, avvolta dai sensi, guardo il gobbo lì sotto la botola, ma non lo vedo più, seguo solo il volo dell’aquila.

Il sipario immaginario si apre su tutta la grandezza di un panorama dello Wyoming, e come un’ombra silenziosa mi accosto ad una finestra e guardo una stanza vuota.

Lì dentro ci sono io, mi vedo, sono entrata nel racconto e divenuta la protagonista, la sto vivendo sullo strato delicato e liscio della membrana che avvolge l’anima.

Francesca Montomoli mi ha rapita così, come antico cavaliere di mondi lontani e magici, mi ha portata ai bordi di un vortice e risucchiata nelle pagine vergate di appassionante e conturbante narrazione.

Questo effetto di sospensione in un moto perpetuo, mi ha accompagnata permanentemente nella lettura di questa straordinaria opera.

La storia narrata è sicuramente di grande impatto emotivo, condotta da una penna direttamente collegata ad una fantasia estrapolata dai Meandri di Memorie Arcaiche, il pozzo di sapienza cosmica, che spesso abita anime di particolare ampiezza.

Anime che raccolgono le voci nel vento e le trasportano su ali in eterno planare, figlie de il vento degli shamani, “il vento che purifica”. Quel vento leggero, radente che anima la prateria di onde lunghe e costanti, che accompagna profumi e suoni per chilometri fino a qualcuno che li ascolti in silenzio prima di passare oltre in cerca di un nuovo messaggio.

Il vento del tempo che passa senza mutare essenza, incurante del confuso affannarsi degli uomini. E che sorregge le ali delle aquile.

Pagina di rara bellezza.

In siffatta atmosfera incantata, mani di donna pristina, su un arcolaio di oro fuso, trama fili di seta che prodigiosamente si intersecano creando, fra traiettorie eteree, una magnifica trina:la Storiadella vita.

Storia della vita nella concezione universale del percorso dell’esistenza di ognuno di noi e chela Montomoli, creatrice, plasma su ogni personaggio utilizzando quei fili di seta divenuti tessuto fine e nuovo.

Già dall’introduzione si evince la saggezza che permea ogni pagina, se pur celata, dal momento che l’autrice non vuole avere pretese di insegnare alcunché se non narrare una storia, ma l’imbattersi già in prima pagina nel delicato e fortemente evocativo discorso di Capo Orian Mountain Dreammer, è sufficiente per anticipare che tanta è la riflessione contenuta nel racconto così come tanta è la saggezza, e non si può che trarne giovamento e insegnamento.

Il primo pensiero, dopo aver gustato la lettura di Una stanza vuota, che si manifestò alla mia mente, come fosse un sottotitolo immaginario, fu “Memoriale dell’Anima” per la raffinatezza con cui sono toccati e sciolti i vigorosi nodi interiori che ogni essere umano porta in sé, sa di avere e sui quali fa convergere la propria attenzione per scioglierli, per riflettere sui perché alcune nostre azioni e reazioni e scelte, ci conducono su strade che non abbiamo previsto e forse nemmeno volute: “non era esattamente ciò che mi aspettavo dalla mia nuova vita e di lacrime ne ho piante tante, ma ogni passo avanti aveva un valore inestimabile, era la conferma che potevo farcela, sapevo ancora camminare; che il dolore, la nostalgia, il rimorso e perfino il rimpianto erano –solo compagni di viaggio e non carcerieri-”

Riflette Alice, riflettiamo noi.

Nel libro percorriamo queste strade e per mano di ogni personaggio ne camminiamo sempre diverse, e insieme ci scopriamo in nodi diversi, ma tutti convergenti allo stesso fine, alla libertà del sé, e nel solcare i medesimi passi dei personaggi, impariamo da loro a sciogliere tali nodi, scippando ad essi il sistema escogitato ed applicandolo a noi stessi.

Fatti e accadimenti prendono così vita e incatenano il lettore con il libro in mano fino all’epilogo e pur volendo non si riesce a sospendere la lettura per alcun motivo. Si è catturati da questa malia.

Si vuol rimanere lì, nel cuore dell’atmosfera creata con maestria, e continuare a sentirsi protagonista, essere ora Alice e ora Jason o Beth o Molly o ogni altro personaggio del racconto in cui effettivamente ognuno di noi nel cambio delle proprie maschere, si ritrova, ognuno di noi condivide senza rapinare, con queste sue stesse parole mi sento di manifestare la sensazione che ho sentito io nei panni dell’uno o dell’altro attore di questa fantastica sceneggiatura, ho condiviso senza rapinare.

Alice è tutte le persone che la circondano e che come un carosello emotivo, appartengono alla sua struttura antica e nuova, queste persone sono l’Alice che si ricongiunge, si distacca, si viviseziona, si osserva, si giudica e si perdona e si ricostruisce. Attraverso ogni diversificazione dei personaggi, Alice si spoglia del proprio dolore addolorandosi con e per essi, si veste del coraggio della vita a causa del coraggio di essi. Conosce Alice a causa di Alice.

Da Cheyenne a Firenze e viceversa, si srotola il filo di questa matassa colorata di emozioni e sagge minuziose elaborazioni, ma soprattutto di dirette considerazioni su importanti temi esistenziali e di crescita spirituale, e non solo.

Felici le esposizioni dei luoghi in cui si dipana la trama con una stesura viva, fatta di visione con l’ottica dell’anima; una visita agli Uffizi sfocia nella bellissima raffigurazione di un momento perso nelle pieghe della veste della Madonna del Cardellino per poi cadere nell’elucubrazione del pensiero di Raffaello mentre lei resta lì, lo sguardo abbassato, le labbra appena smosse, i lineamenti distesi… espressione che si lascia solo intuire senza essere manifesta, esce dalla tela e mi viene incontro.

Ammirevole il linguaggio adottato perfino nella descrizione dell’attività in un parcheggio di supermercato a Cheyenne: “molti, quelli alle prese con i carrelli stracolmi che sembrano procedere per loro conto… carrelli e umani si contendono l’andatura più sghemba…”

è uno dei fotogrammi in movimento lento, una scena comune ma colorata e viva, soffusa comunque di ilare osservazione che, diffusa fra le pagine e in situazioni diverse, smorza

l’autorevolezza della trama del racconto.

Ho tratto sicuramente le meno potenti espressioni di cui il libro è farcito, solo per esprimere come la discorsività sia pulita e chiara, e pur nella completezza dei particolari di ogni luogo, accoglie con levità le riflessioni di un diario, di un percorso di vita vissuta fra Firenze e Cheyenne.

A Cheyenne l’autrice ci immerge nella meditazione della protagonista sul silenzio, su come sia buono e glielo fa dire mentre è immersa nell’acqua della piscina, calata nei meandri della sua anima, avvolta, inabissata in tale silenzio: tutto è silenzio, un silenzio senza livore, un buon silenzio. Un silenzio da ascoltare.

 È una riflessione in un ampio complesso di elementi in cui si districa la narrazione, ma è alta poesia. È volare nell’acqua.

Ecco, alta poesia profusa in un romanzo, poesia è quanto ho continuamente incontrato in ogni frase, in ogni pagina. Ogni tratto dello scritto potrebbe essere separato e trasportato in versi.

È certamente questo il segreto del fascino di Una stanza vuota, la poesia, poesia nel dialogo direttamente collegato ai sensi oltre che all’intelletto.

È con questo spirito che mi sono inoltrata nel racconto, assolutamente intrigante, istruttivo e profetico oltre che poetico.

Le profonde immersioni nelle più fragili anse della psiche e le aeree risalite nel corso della storia, la sanno lunga sulla capacità di empatia e larga conoscenza dell’interiore di questa grande scrittrice.

Ma anche di piacevole ironia che riversa sui vari personaggi nonché su Jason, il quale personifica l’uomo con “sindrome di impenitente donnaiolo” ma che cela in tale guisa il suo modo di essere, le proprie insoddisfazioni, paure e aspettative, ed esilarante è il veloce scambio di battute fra le colleghe d’ufficio nel mentre egli sta sfoderando uno dei suoi sorrisi più smaglianti con la nuova assistente di Biologia molto appariscente: -“dici che sa di che colore ha gli occhi”?- “Non saprei, di certo conosce il colore di tutti i suoi reggiseno…”

L’ironia è magistralmente fusa a concetti penetranti, a momenti in cui il dolore urla per uscire da cicatrici già cauterizzate, per poi tornare con levità ad istanti meno sommessi.

Ma l’ombra delle ombre dei fantasmi, siede mollemente sulle nevi e sui ghiacci dello Wyoming, si insinua nella dolcezza del vuoto di una stanza profumata di caffè italiano e resta in disparte, rispettosa di una solitudine gratificante di un risveglio in un giorno nuovo.

Aiuterà la protagonista al raggiungimento di questo stato di consapevolezza, ciascuna esperienza le si porrà davanti per ogni nuovo giorno della nuova vita, attraverso le vicissitudini dei personaggi. Nondimeno, la grandezza dell’opera, per la magistrale miscellanea di dottrine, la gustiamo anche nel profondo capitolo dedicato ad Elisabeth Parker Peterson, Beth.

La saggezza che Hannah Sorriso dell’Aurora, governante di Beth, porta con sé dalla tradizione del suo popolo, viene adattata ad una situazione prettamente attuale di una moderna signora americana. È per fotografare il momento di vita di questo personaggio

che la Montomolisi avvale di una saggia e antica leggenda Shay-an assegnando ad un
“acchiappasogni” il potere di scaltrire l’urgenza di riconsiderare una situazione di vita stagnante, contemplare la propria cancrena e rivedere se stessi, e il lettore che si inoltra nella lettura di queste pagine, non può esimersi dal constatare che l’occasione di incontrare se stessi ce l’abbiamo sempre e che il coraggio di incontrare e vivere il proprio quotidiano nella piena armonia del sé, è insito in ognuno di noi. Basta ricordare che ognuno È, che noi siamo.

Una stanza vuota sarà pure un racconto di fantasia ma riporta realtà contingenti, narra nella profondità, il quotidiano di ognuno e Alice scruta il suo di donna, di persona che vuole essere “araba fenice”, e come diario foriero di fotogrammi di vita in movimento, ci offre le sue immagini in quella stanza vuota dove vede se stessa divenire cenere e poi un’altra stanza in cui si vedrà riprendere in mano i suoi resti e ricomporli fino a riprendere un piumaggio che le possa assomigliare, o meglio che possa confarsi con quella Alice di cui l’immagine le è ancora sconosciuta.

La protagonista elabora il suo stato generato da un passato annichilente, la sua stanza vuota, vive la storia di una fuga da se stessa per ritrovarla nel percorso di un’altra vita vissuta in una stanza vuota di un vuoto nuovo, un vuoto amico, un vuoto che è spazio in cui esistere, dove incontrare e riconoscere il proprio dolore, dove incontrare comunque e finalmente tutta se stessa. Spazio in cui ogni attimo, nonostante tutto, è Vita.

Francesca Montomoli si serve della sua Pienezza, della sua Consapevolezza, per spalmare pagine di piacevole lettura, narrando compiutamente ora con ironia, ora con delicata spennellata di pittore impressionista, ora con importanti composizioni armoniche. E di più e sempre, con immagini ipnagogiche dell’io interiore con le quali regala illuminazioni sui quid di tanti nostri malesseri che non ci si aspetterebbe da un romanzo la cui trama è scorrevole, lineare, affascinante, intrigante, il cui solo scopo è di avvolgere nella lettura di una storia. È questa la magia di cui è capace l’autrice: saper lasciare in noi lettori, tracce di vita nel mentre siamo convinti di leggere solamente una bella storia che però, dopo aver gustato, ci lascerà in bocca un sapore di buono, un sorriso nell’anima, tante risposte e nuovi spunti per nuove domande e, soprattutto, il dispiacere che la storia si sia conclusa, che non ci siano ancora pagine da leggere, che bisogna chiudere il libro ed uscire da quell’abbraccio che ci ha avvolti per tutta la durata della lettura. Siamo stati in una stanza vuota che tuttavia ha le sue ampie finestre affacciate su grandi panorami, il panorama della vita, con tutti i suoi meravigliosi colori. Una stanza vuota colma di aria buona e di spazio per viverci.

Ecco, ora voglio aggiungere il mio consiglio ai lettori nell’approssimarsi alla lettura con le stesse parole che l’autrice cita a pagina 101: “dimenticate il pensiero e perdetevi nella voluttà del gusto”.

Mi sono persa in questa voluttà. A me, è piaciuto perdermi, non risvegliatemi.

Francesca Montomoli, regalaci nuove pagine della tua magia, regalaci la tenerezza con cui conduci i tuoi personaggi all’incontro con se stessi, accompagnaci in questo quotidiano e umano cammino con la saggezza, l’ironia e la compassione che hai profuso fra le pagine di questa, anche nostra, stanza vuota.

 

 

Annamaria Vezio

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