Storia di una bufala, o meglio, di una mezza verità… (fm)
Fuffy, Fido e il fisco animale: “Noi di razza bastarda? Ma mi faccia il piacere!”
L’uomo è un animale sociale e solo in rari casi, spesso a seguito di esperienze mistiche o comunque sconvolgenti, decide per una vita in splendida solitudine.
L’uomo è un animale tribale, di fatto si è inventato di tutto per soddisfare questo istinto associativo e perpetuarne i meccanismi di comunicazione. Ne è testimonianza l’esistenza, ormai imprescindibile, della rete e il florido proliferare dei social network con il loro tamtam. Moderno silenzioso surrogato degli antichi tamburi di pelle che, con altrettanta efficacia e inquietante potere di suggestione, raggiunge in tempo reale il più cospicuo numero di individui che mai si potesse immaginare. Nel bene e nel male.
Se a questo indiscutibile potenziale associamo alcuni vizietti dell’umana società, come una certa strisciante malignità o la perversa soddisfazione nel diffondere allarmi e pettegolezzi, ne otteniamo risultati singolari o terrificanti.
Fra quelli quantomeno bizzarri c’è una certa inclinazione verso l’autolesionismo immaginifico. Siamo stati e siamo tutt’ora tutti testimoni di un trastullo grandemente diffuso, parificabile alla divinazione degli antichi oracoli. Non bastassero le difficoltà quotidiane, personali, nazionali e mondiali, si diffonde sempre più un certo compiacimento nel rigirare il coltello nella piaga, tentando di anticipare il genere e il numero delle prossime mazzate e/o tormenti. Nascono così i vari Toto-qualchecosa. Dopo il toto-ministri, il toto-segretari e sottosegretari non potevamo certo privarci del toto-provvedimenti che ce ne ha regalati di cotti e di crudi come la tassa di possesso su cani e gatti, financo di pura razza bastarda.
La fulminea reazione degli internauti ha diffuso la millantata voce di corridoio alla velocità dei neutrini (tanto per essere al passo coi tempi che corrono), in un crescendo da rullo di guerra che è rimbalzato da Twitter a FaceBook, fin su siti ambientalisti notoriamente accreditati di attendibilità, via via consolidandosi in quasi certezza.
Se consideriamo che, anche limitatamente alle statistiche ufficiali, ben oltre il 40% delle famiglie italiane possiede un animale da compagnia, cane o gatto, non è difficile immaginare la portata dell’onda di rigetto scatenata da un’ipotesi tanto odiosa.
Confesso che possedendo anch’io un cane, erano due in verità, e un discreto numero di gatti, tutti raccolti a vario titolo per evitar loro una brutta fine, non ho saputo frenare il primo impulso di sdegno, corroborato dalla consapevolezza di quanto un cane, o un gatto, possa assimilarsi a un vero e proprio membro della famiglia, meritevole di sacrifici in nome del suo benessere e della sua salute.
Altro che bene di lusso, quando per curare il nostro amico peloso ci troviamo di fronte a un salatissimo conto da saldare, magari a rate, che ci costringe a rinunciare a quel progetto che stava proprio per essere realizzato e che accantoniamo senza pensarci troppo su. Per non parlare di quei deliziosi bastardini di taglia piccola o piccolissima che vivono in perfetta simbiosi col padrone, ormai anziano e solo, lui sì come un cane, che trova in quegli occhioni umidi e in quella coda in perenne movimento, l’ormai unica motivazione per uscire di casa, per fare due passi nel parco. “Quelli che”, con solo la minima a disposizione, rinunciano a qualcosa di personale pur di non far mancare le crocchette o l’antiparassitario al proprio fedele, tenero compagno di vita.
E’ bastato molto poco a diffondere l’allarme che ha suscitato l’imponente alzata di scudi, ma la smentita non ha raffreddato gli animi con altrettanta tempestività. Un annoso baglio di esperienza collettiva ci ha insegnato ad essere sospettosi. Ormai in preallarme, possessori e amanti degli animali han fatto tesoro del vecchio detto popolare “dove c’è fumo c’è sempre arrosto” e annusando, annusando, hanno scovato l’innesco.
Sì perché, dopotutto, tanto pellegrina la bufala non era, se il possesso di quel bastardino che abbiamo amorevolmente strappato al canile di zona, o raccolto lungo i margini di un’autostrada, o di quella cucciolata che stava soffocando nel cassonetto fra la spazzatura, compare fra gli indicatori di ricchezza del nuovo redditometro, senza distinzione di razza, stazza o provenienza.
Mi si obietterà che proprio così non è, perché il parametro è costituito dall’ammontare delle spese veterinarie portate in detrazione. Giustappunto. Anche volendo seguire un tipo di ragionamento incondivisibile ( non sono oggetti, non sono beni, sono amici, punto e basta) le voci di spesa più comuni e diffuse seguono un tariffario piuttosto omogeneo, dal quale non si evince la tipologia di animale in questione. A forzar la mano si potrebbe dire Alano=Chiwawa? E via di questo passo.
Meno male che le campagne contro l’abbandono e quelle di sensibilizzazione per l’adozione delle bestiole più sfortunate hanno trovato terreno fertile, meno male che ancora scorrono fra una pubblicità progresso e un consiglio per gli acquisti.
Ma non sentite anche voi un certo odore di contraddizione? Non sarà che, come al solito, la mano destra ignora ciò che fa la sinistra, ma a fini tutt’altro che evangelici?
Di sicuro non sono la prima a dirlo, ma a qualcosa la bufala è servita, se non altro avrà avuto un valore propedeutico: con questo genere di belle pensata qualunque direttivo, di qualsivoglia colore, composizione o legittimazione, si troverebbe a fronteggiare il popolo compatto. Uno schieramento deliziosamente trasversale che si riconoscerebbe solo nel colore delle livree dei propri beniamini.
(Francesca Montomoli)
pubblicato il 10 dicembre 2011 su www.rinabrundu.com
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